martedì 26 luglio 2011

Lo chiamavano...Neocinema? Heavy Rain

C'è poco da fare: le storie a bivi di Topolino e i Librogame non riuscivano mai a soddisfare fino in fondo l'aspirazione di vivere un'esperienza in cui scelte e azioni modificassero il corso degli eventi e il finale. Sì, certo, c'era il caro e vecchio gioco di ruolo (e per fortuna c'è ancora, insuperabile dal punto di vista pedagogico e del divertimento), che però non prevede, di regola, nè raffigurazioni nè pagine scritte a cadenzare la vicenda narrativa. E ci sono anche le avventure testuali (un vero crossover tra videogaming e letteratura) e, soprattutto, le avventure grafiche, ovvero il seme da cui ha preso vita il nuovo e composito universo di cui oggi parlerò.


Un universo che mi risulta non avere ancora un nome preciso (e non c'è di che lamentarsi, come per il fatto che per molti conservatori di varia estrazione sia, più precisamente, innominabile, questo universo), di cui Heavy Rain è l'ultimo esponente (ne parlavo qui). Il gioco, scritto e diretto da David Cage, fondatore della casa di produzione francese Quantic Dream che aveva, a suo tempo, sviluppato i predecessori Omikron: The Nomad Soul e Fahrenheit, è rivoluzionario perché apre un nuovo sistema, una nuova esperienza, prima solo abbozzata, cioè il cinema in consolle.

Parliamo, infatti e senza dubbio, di un film, cioè di un'operazione (audio)visiva in cui una "sequenza di immagini dette fotogrammi incise su una striscia di poliestere o di triacetato di cellulosa (la pellicola vera e propria) da proiettare ad una velocità tale (24 fotogrammi al secondo solitamente, ma ne bastano 12 per ottenere l'effetto) che possa rendere l'illusione ottica del movimento" (fonte Wikipedia). Non solo regia, ma un approccio cinematografico a sceneggiatura, fotografia, montaggio, produzione esecutiva e...casting, dato che i personaggi sono ricostruiti digitalmente su volti e movenze di attori veri.  Guardate qui sotto.


Il punto forte di Heavy Rain è proprio riuscire a far entrare i meccanismi di gioco -in primis cioè, trattandosi di avventura, di controllo del proprio personaggio- in strepitosa unione con gli ingranaggi filmici. Per esempio, quando il giocatore decide di compiere un'azione, la velocità con cui muove il controller si ripercuote sia sul movimento dell'avatar, sia sull'inquadratura, con ampia possibilità, allora, di comporre il proprio sguardo, come una sorta di montaggio. In effetti giocare/vedere Heavy Rain significa trovarsi dentro il film non solo come potenziali scrittori della sua sceneggiatura, ma come montatori dei suoi sguardi e dei suoi ritmi.

Ogni aspetto grafico è, ça va sans dire, molto curato. Il realismo raggiunge punti estremi, come per l'espressività dei volti (pelle, lacrime, muscolatura facciale, brufoli...), la fluidità dei movimenti, la caratterizzazione mimico-posturale ed espressiva dei diversi personaggi. Tutto molto credibile.



Tornando a trama e personaggi, la storia è un noir ben ambientato, una sceneggiatura equilibrata, complessa senza essere eccessiva, contorta. Giochiamo con quattro personaggi diversi, altro aspetto molto positivo per coinvolgimento nella magia del racconto; e scoprire chi è l'assassino, un serial killer di bambini, non è per nulla facile ma, con intuito e ragionamento, possibile. In merito alla molteplicità dei finali e alle scelte della trama, bisogna dire che non sarà solo sparare o meno a qualcuno o riuscire ad uscire da un appartamento che ha preso a fuoco a determinare il proseguire della vicenda ma, per esempio, sentire -il coinvolgimento emotivo alla prima partita è assicurato- di volersi aprire a una relazione sentimentale con un altro personaggio porterà scene diverse da quelle previste se, invece, preferiamo che un rapporto di collaborazione tale rimanga.


Ci sono voluti anni per produrre Heavy Rain, ma si tratta di un'attesa che ha reso possibile non lasciare nulla al caso. Accennavo al grande livello di coinvolgimento emotivo alla prima partita: poi, e forse questo è un limite del gioco, è solo la curiosità di scoprire "cosa cambierebbe se" a farci ricominciare, lasciandoci alle spalle il "sacro fuoco" del videogiocatore perché comunque, rimettersi dietro alla vicenda, comporta un elevato grado di ripetitività (cioè il problema per antonomasia dei videogiochi, ma non del cinema): ma va bene così. Del resto, appena finito un lungo e piacevole telefilm d'autore -prendiamone uno a caso che non poteva non essere omaggiato anche da Heavy Rain: Twin Peaks!- siete proprio sicuri che vi rimettereste a vederlo da principio il giorno dopo? 
(Certo che se potessi cambiare storia e finale e magari far ballare Audrey nuda nel bosco dei sicomori o mandare Bob ad azzannare cadaveri, un pensierino lo farei...)


PS Chi vi ricorda costui, se vi dico che è un agente FBI?

2 commenti:

  1. A me ricorda Aaron Hotchner di Criminal Minds :P
    Ok dai, adesso crocifiggimi :D
    Molto interessante invece il Post, non conoscevo questo esperimento e devo dire che l'idea mi piace parecchio: un film non passivo, un film dove noi plasmiamo gli eventi... come dovrebbe essere la vita vera...
    Ciao!

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