Assegnate le statuette, emanato lo stucchevole, deludente, prevedibile verdetto, riporto l'articolo del Manifesto di ieri, a firma Giulia D'Agnolo Vallan, che ben sintetizza l'attuale andazzo della macchina cinema sulle strade di questo vecchio mondo.
Salvando e aprendo il file, il testo dovrebbe risultare leggibile. Il succo è ciò che segue, con l'eccezione di un riferimento, nella pagina seguente non scannerizzata, al "bellissimo Black Swan"...Che non posso non plaudere.
"La canonizzazione del "Discorso del re" di T. Hooper sembra la conferma degli stereotipi classici che confezionano un film da Oscar: buoni sentimenti, fonte "alta", costumi d'epoca, accento inglese, politica rassicurante e forma insipida e, quello che non fallisce praticamente mai, il protagonista disabile. Resta inesplorato il deserto morale della Facebook generation di "Social network"."
La scelta della giuria è stata sicuramente all'insegna del conservatorismo. Ci si domanda perchè estendere a 10 il numero delle nominations per il miglior film, se poi ci si limita a scegliere il solito film sostanzialmente innocuo, quando si poteva osare un pò di più ed andare incontro all'acuta analisi delle contraddizioni della società contemporanea di Fincher o all'eccezionale riflessione metacinematografica di Nolan.
RispondiEliminaGrazie del commento, di cui sposo ogni parola. Come dicevo su altro blog, per rimescolare le carte e non annoiarci troppo, farei vedere a Danny Boyle e al protagonista del suo "127 ore" "The social network". Chissà cosa ne penserebbero?
RispondiEliminaChe l'Academy sia "conservatrice" lo dice già il suo nome, no? Credo però che molte critiche rivolte al film di Hooper siano collegate più al ruolo di film "pluripremiato", che ad effettivi limiti della pellicola.
RispondiEliminaNon sono completamente d'accordo, non tanto per i limiti dell'Academy, la sua filosofia culturale, o per le loro singole decisioni, ma per il fatto che si giudichi in questo modo il film, rendendo cioè vincitrice assoluta una pellicola che sta molto "in mezzo" e che in fondo non ha quasi meriti (mediocre?). Trovo "Il discorso del re" un lavoro che ha molti limiti, è un film costruito per non stupire e per dire poco, forse ad eccezione della fotografia che un pochino spicca e qualcosa lascia. Essere tanto formali per accontentare tutti i (buoni) sentimenti, come ben dice l'articolo, paga agli Oscar ma non al godimento degli spettatori, almeno alla lunga.
RispondiEliminaSi, questo è vero: l'eccesso di formalismo allontana lo spettatore, impedisce ogni tipo di coinvolgimento emotivo.
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