martedì 19 aprile 2011

Uomini di Dio

Opera sulla fede, la vita e il suo martirio, Uomini di Dio ripercorre con ritmo e rigore le ultime settimane di vita dei sette monaci trappisti rapiti e poi uccisi dagli integralisti nel 1996. La cornice è quella, incantevole, delle montagne algerine di Tibhrine, nel cui alveo si anima la semplice esistenza dei frati di Nostra Signora dell'Atlante, basata sull'agricoltura, la preghiera, il servizio ai poveri, e indissolubilmente intrecciata alla comunità dei "fratelli e delle sorelle musulmani". Una testimonianza sobria ma potente degli effetti che il rapimento "mistico e sensuale" operato dalla bellezza dell'incontro e della cultura può generare nell'uomo di cuore. 


“So il disprezzo con il quale si è arrivati a circondare gli algerini globalmente presi. So anche le caricature dell’islam che un certo islamismo incoraggia. È troppo facile mettersi a posto la coscienza identificando questa via religiosa con gli integralismi dei suoi estremisti. L’Algeria e l’islam, per me, sono un’altra cosa: sono un corpo e un’anima”. 
Frasi come questa, e facce come questa 


parlano da sole della "apertura non avente per principio l’evangelizzazione" (Manuel Billi, Spietati.it) ma che nell'abbandono a Dio trae le fondamenta. Il film ha avuto un grande e inaspettato successo in Francia (anche grazie alla vittoria del Gran Premio della Giuria, a Cannes), dove ha superato i film di Angelina Jolie e compagnia bella.


Superfluo dire altro, ma molto interessante, mi sembra, proporre in merito la lettura di uno scritto di Enzo Bianchi, il priore del monastero ecumenico di Bose, luogo e persona che meritano a mio avviso grande attenzione.




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