“Andate e lasciate che le storie, ovvero la vita, vi
accadano, e lavorate queste storie dalla vostra vita, riversateci sopra il
vostro sangue e le vostre lacrime e il vostro riso finché non fioriranno,
finché non fiorirete.”
Clarissa Pinkola Estes, Donne che corrono coi lupi
Oggi pubbico un post stimolato da quello scritto ormai parecchio tempo fa da un'amica di blog, Rita (Biancaneve) del blog Il Dolce Domani.
Premessa
Non sono animato da intenti polemici, piuttosto credo che blog&co, oltre ad essere dei succhia-tempo, come dicono i linguisti islandesi traducendo nell'idioma nazionale questo genere di termini, acquisiscono senso e utilità se utilizzati per scambiarsi idee, argomenti, soprattutto quando sono diversi, affinchè sia possibile uno scambio, una sintesi e spunti anche per chi un giorno potrebbe ri-passare.
Va in questa direzione l'assunzione delle parole di Rita per "quelle che sono", vale a dire un post con diverse componenti personali, sul suo blog personale, e non certo trattati e proclami. Questo si evince anche dal garbo e l'intelligenza con cui lei gestisce i commenti. E lo stesso valga per me e questo spazio ormai piuttosto spopolato.
Di padre in figlio
Tornando all'oggetto della mia, Rita scrive della cultura "mainstream" che presuppone e inculca obbligo generativo per le donne, nonchè delle sue scelte in merito, portando motivazioni e riflessioni di ordine generale e adducendo esperienze personali.
Molti suoi lettori e lettrici partecipano appoggiando (chi più, chi meno) il suo punto vista, sottoscritto compreso, pur se con non pochi "ma".
Tra i commenti mi incuriosisce quello di Vale Riccione, che rimanda a una pagina di un suo blog, questa, per una tabella che ironicamente riassume e sarcasticamente apostrofa i comandamenti procreativi. Leggetela, ne riparleremo dopo.
Anche io, come Rita, parlerò della mia esperienza personale cercando, dove possibile, di renderla condivisibile.
Fino a circa i 30 anni la pensavo esattamente come lei. Io e i figli? Zero. Il mondo non mi sembrava un buon posto per una nuova vita.
Lentamente e con fatica sono cambiate una serie di circostanze nella mia vita personale e a un certo punto, senza pensare di volerlo o meno, le cose hanno portato (l'espressione non è casuale) a non controllare gli aspetti più controversi, aggrovigliati, del nostro vivere, pur mantenendo -nutrendo- la consapevolezza degli stessi. Diciamo che dopo un doloroso, gioioso e molto denso percorso di rielaborazioni ed esperienze, ho "imparato" a vivere non solo confrontandomi, sperimentando, scrivendo, eccetera, ma lasciando germinare senza dover obbligatoriamente capire e contenere.
Imparare a stare e a coltivare quanto basta per riportare le ambizioni nella misura del possibile; un possibile che non sta "nella" mia volontà, ma nelle infinite, terribili e incantevoli "variazioni sul tema"; sia quelle che si manifestano con evidenza, sia -soprattutto- quelle che restano invisibili agli occhi.
Lentamente e con fatica sono cambiate una serie di circostanze nella mia vita personale e a un certo punto, senza pensare di volerlo o meno, le cose hanno portato (l'espressione non è casuale) a non controllare gli aspetti più controversi, aggrovigliati, del nostro vivere, pur mantenendo -nutrendo- la consapevolezza degli stessi. Diciamo che dopo un doloroso, gioioso e molto denso percorso di rielaborazioni ed esperienze, ho "imparato" a vivere non solo confrontandomi, sperimentando, scrivendo, eccetera, ma lasciando germinare senza dover obbligatoriamente capire e contenere.
Imparare a stare e a coltivare quanto basta per riportare le ambizioni nella misura del possibile; un possibile che non sta "nella" mia volontà, ma nelle infinite, terribili e incantevoli "variazioni sul tema"; sia quelle che si manifestano con evidenza, sia -soprattutto- quelle che restano invisibili agli occhi.
Ecco che, "senza pensarci troppo", mi sono ritrovato prima "incinto", poi padre, ed è l'esperienza più intensa, speciale, meravigliosa che mi sia mai capitata. Come si intuirà ho cambiato radicalmente idea e, in generale, approccio e atteggiamento nei confronti dell'essere genitori.
Intermezzo
Quando penso al tema, mi vengono spesso in mente alcune amate canzoni targate Cccp/Csi/Pgr che per me riescono a cantare qualcosa della complessità e delle controversie della vita.
"C'è stato un tempo il mondo / giovane e bello / grondante sangue, fertile"
"Noto una qual certa difficoltà nel procedere"
Spesso mi sono sorprendentemente ritrovato in queste parole scritte, oltre che cantate, nelle mete dei viaggi geografici e spirituali di GLF, nel canto alla vita che si rinnova impietosa e magnifica, nella pietà, in quell'imprescrutabile scenario in cui noi umani ci muoviamo.
La donna-uovo
Oggi penso (e soprattutto sento) quale potente e magnifica rappresentazione di realtà pulsante di vita che si ri-genera sia la donna incinta.
Oggi sento (e soprattutto penso) che le madri insoddisfatte che si lamentano di non farcela siano in molti casi il segno di una società che fatica ad aprirsi alla vita, intesa come dono, ma molto più incentrata su una concezione tanto edonistica quanto individualista del sè e del procreare.
Vero invece che è madre (e padre) non solo chi procrea biologicamente, ma anche (anzi, direi soprattutto) chi dona e nutre in generale. Questo però non toglie che vi siano delle differenze, in alcuni casi infine praticamente non rilevanti (ad esempio tra adottiva/affettiva e biologica, piuttosto che nella famiglia omosessuale o allargata). La genitorialità biologica in generale è quella della procreazione affettiva e carnale, del seme che incontra il seme, della trasformazione in uovo fisico e simbolico, nell'unità e nello sdoppiamento, nella potenza affettiva di un grembo con una vita dentro e poi di un nuovo arrivo che rigenera. E sopratutto, allargandosi anche alle forme non strettamente biologiche, nella crescita di un bambino, un essere che acquisirà caratteri, capacità, limiti e orizzonti simili ai nostri. E' in ragione di quest'ultimo punto che posso affermare che quest'esperienza sia diversa da quella sperimentata con un cucciolo di altra specie, o dall'accudimento in generale. Con questo non si legga che le relazioni con non umani non siano appaganti e arricchenti, anche nello scoprire quanto siamo simili e speciali nelle diverse forme che la vita prende. Hanno alcuni punti in comune, ma non sono analoghe.
Due splendide rappresentazioni dell'Archetipo femminile generativo.
Rita dice che "In fondo, se io non ho voluto figli, non è perché non amo abbastanza la vita, come pensano alcuni, ma proprio perché amo ed ho rispetto della vita più di tanti altri". Io la pensavo come lei al 100%, ieri, in virtù di un ragionamento che oggi reputo eccessivamente astratto e ideologico, sebbene ancora oggi comprenda l'importanza e il valore di alcuni contenuti (tra cui, a titolo di esempio, l'assoluta importanza dell'educazione sessuale e della contraccetività, il prendersi cura non solo di sè e della famiglia ma della comunità, dell'ambiente, e della rete di cui tutti facciamo parte); ma fino a un certo livello. Precisamente fino al punto individuato dall'affermazione riportata, perchè credo che un tale giudizio non sia di competenza esclusiva della sfera logico/razionale; bisognerebbe piuttosto dare ascolto al "respiro" della vita e al nostro istinto ad essere parte della danza delle creature del mondo, in completezza, in compiutezza e secondo il nostro orizzonte, con "un occhio all'immediato e uno all'infinito", perchè per giudizi più globali non abbiamo abbastanza competenze.
Detto questo, metto il punto perchè, come da premessa, questo non è un trattato generalista (e pressapochista) sul tema, ma una sorta di "reportage di punti di vista personali" (i miei).
Lascio le mie ultime elucubrazioni al gioco della tabella di cui si accennava in premessa, che ho fatto mio raccogliendo e "minando" le osservazioni di Rita, Valentina e degli altri commentatori, sperando di strappare un sorriso e di riuscire a generare scambi utili in questa piazza virtuale invero ormai piuttosto deserta.
Un grazie a Rita per lo spunto e per la pazienza con cui (lei come spero altri) mi leggerà e risponderà, perdonando alcune leggerezze, le sintesi e le semplificazioni dovute alla forma del gioco, e il tono ironico che non intende nè offendere nè sminuire aspetti di sicuro complessi, controversi e talvolta drammatici del vivere (o no) la "genitorialità".
La tabella
Motivo addotto
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Vero motivo
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Alternative
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Non voglio proiettare me stesso sui figli, non è giusto.
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Sindrome della Maga di Biancaneve. Ha paura di cosa dice lo specchio
e teme di non essere il centro del mondo.
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Trattasi di dinamica naturale, base per lo sviluppo psicologico, sociale
e culturale della comunità. Bene averne consapevolezza per saperla gestire, male rimuoverla.
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Fare un figlio significa prendere una decisione per altri.
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L’unica cosa che per lui/lei realmente conta è il proprio io, i cui confini
sorveglia con unghie e coltelli affilati.
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Pensare a quante cose accadono senza che noi siamo interpellati e a
come ciò sia nell’ordine delle cose. Assaporare la liberazione e la sottile
gioia che deriva dall’affidarsi e dal contemplare.
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Per me è una soluzione per risparmiare energia.
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A tutto c’è un senso ed un limite. Siamo orientati alla giustizia,
all’etica, al rispetto. Ma di qui a non poter vivere la vita come scambio,
come susseguirsi di aspetti e piani diversi, a volte contraddittori, ma come
una sorta di adamitica colpa da impronta ecologica, ne passa.
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Spegnere il computer, la radio e la tv (così si risparmia energia) e frequentare
boschi, campagne, bambini felici, zingari e viandanti. Cambiare qualche lettura (magari
ripartendo dalle fiabe, la cui potenza simbolica e archetipica è fuori
discussione).
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Gli umani sono ignobili, fanno del male al Pianeta e ai suoi abitanti.
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Ha un'idea piuttosto realistica dell'approccio umano all'ecosistema (“come le camole sulla farina”), perlomeno dal nostro punto di vista; ma in questo
contesto esprime paura del lato oscuro, blocco da traumi e paure a cui si
riconosce grande importanza. Presume che la
soluzione sia l’astinenza “dall’alto” e non la partecipazione critica (la
missione creativa e partecipativa, ovvero educativa) dell’esistenza e all’esistente.
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Non tutto è luce. Non reprimere o nascondere le difficoltà, le
rabbie, gli istinti aggressivi. L’arma migliore per gestirli? Probabilmente l’ironia.
Più la vita perde scopo, più acquisisce senso. Non prestare troppo il fianco agli ideali e alle missioni impossibili ma praticare scelte e umiltà. |
Mi priverei di un certo tipo di carriera.
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Son scelte. Non dico che un figlio sia la soluzione comoda per i supermanager che
affollano queste pagine, ma certo c’è la possibilità di trovare un minimo di
compatibilità... Basterebbe limitare lo spreco di energie per facebook (o i blog!), ad esempio.
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...Epperò un po’ di ozio e contemplazione non farebbe male. Esiste un
mondo oltre l’ufficio e la città, ed è un mondo da vivere, scoprire e partecipare, che va avanti comunque anche senza di noi.
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Mi priverei del piacere delle mie amicizie.
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Si sente diverso ed
ha paura di deludere l’immagine -fissa- che crede gli altri abbiano di lui/lei.
Chi non ha figli fatica a capire come relazionarsi con il nuovo
assetto famigliare. Chi li ha, non ha nei primi tempi molto tempo a disposizione per le seratine come una volta.
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“Per crescere bene un bambino
ci vuole tutto il villaggio”.
Un bambino apre al mondo relazioni non
incentrate esclusivamente sui propri interessi e desideri, ma riporta alla
comunità, alla condivisione (anche quella un po’ faticosa ma sana). Più
prosaicamente: avete presente i cani ai giardinetti (vedi anche punto successivo) e quanti avete
abbordato a quel modo? Moltiplicatelo per 30 e avrete un’idea della potenza
sociale di una carrozzina e dell’intrico di emozioni e relazioni che vi
aspettano al varco della genitorialità.
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Mi priverei di un certo tipo di vita.
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Sì, quella che ti vuole adolescente e idealista
all’infinito.
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Cambiare decisamente prospettiva. Non chiamarsi fuori.
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Mi priverei di un certo tipo di storia d’amore / sesso.
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Per alcuni momenti, è tristemente vero. Ma poi le cose evolvono, i bambini crescono, le relazioni si rinnovano. Il
punto è sempre quello: desidero seguire il cammino delle età della vita,
dell’apertura all’altro, oppure voglio restare fermo/a a guardarmi allo
specchio?
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Darci dentro prima e dopo, in ogni senso e maniera. Che altro dovrei dire?
Ecco, forse il fatto che lo scopare a tutti i costi -spesso male- sia una specie di must culturale (anche a volte controculturale) dalla chiara matrice narcisistica e consumista?
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Meglio l’affido e l’adozione.
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Spinoso, perché approvo in pieno l’uno e l’altra, per qualsiasi tipo
di famiglia. Ma se li si contrappone ideologicamente alla procreazione
biologica, c’è qualcosa che non mi torna. Come non volersi, ancora una volta,
sporcare le mani e mettersi in gioco fino in fondo.
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Fare entrambe le cose con slancio, passione e un po’ di
consapevolezza.
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Sarebbe un disoccupato.
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Non si vuole fare carico dei problemi degli altri, è stanco e
demotivato.
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Uhhh che pesante e menagramo! Avete presente il punto 1? Magari
(probabile, lui non è cresciuto negli anni ‘80) il pargolo sarà molto più
attivo e intraprendente di noi, non avrà problemi di lavoro né di felicità!
Tiè!
Ulteriore ed efficace alternativa? Appassionarlo all’idraulica, all’odontotecnica, all’oreficeria di lusso o alla semplice e sana vita nei boschi. |
Le madri e i padri si lamentano in
continuazione
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Ha molti amici rompicoglioni.
Ha paura di cambiare e di peggiorare la sua condizione.
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I senza figli non si lamentano? La difficotà evidentemente c’è ma è controbilanciata da una serie di scoperte di amore, di
fiducia...A volte chi non ha figli questo non lo percepisce (spesso non VUOLE
percepirlo) perché sono intuizioni ed emozioni seppellite molto in fondo e molto lontane dalle sue esperienze e convinzioni. Parlo per esperienza personale.
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Mettere al mondo un figlio è la risposta ad un bisogno indotto dalla società dei consumi
o da altre convenzioni culturali che ci plasmano e indirizzano al matrimonio, ai figli, eccetera.
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Si è dimenticato di vivere anche lui/lei in una cultura e di rispondere a determinate convenzioni?
Crede di essere al di fuori ed al di sopra dei condizionamenti culturali sui quali proietta contraddizioni e problematicità. Quando inizierà a parlare di microchip sottocutanei che lo spingono a compiere gesti inconsulti, ricordarsi la strada per l'ospedale più vicino.
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Il desiderio di diventare madre e padre è
un desiderio e una scelta composta da pulsioni,
condizionamenti della propria cultura, anche di quella "main",
situazioni particolari, incontri, inconscio, pensieri e soprattutto e auspicabilmente,
fatalità.
Facciamo tutti parte di una cultura, la differenza è la consapevolezza, la qualità del lavoro svolto con se stessi e le scelte che ne conseguono; la scelta privativa, di astensione, non è sempre quella giusta, ed è anch'essa una convenzione culturale, anche se si basa su prerogative (ideo)logiche, invero altrettanto fragili, se vagliate su una griglia non materialista ma altrettanto realista. Anche i modelli e le pratiche culturali alternativi o minoritari possono essere parimenti conformisti, semplicisitici e spesso sono incentrati sulla negazione e l'autoesclusione piuttosto che sulla proazione. Dal mio punto di vista, si potrebbe tranquillamente ribaltare la frittata: quante amiche si trovano in carriera (se va loro bene) a 40 anni, sole, affaticate, aggrappate a convenzioni sociali che le vogliono sempre belle e in forma, al lavoro, impegnate e intraprendenti... Però questo giudizio non mi appartiene, credo che ognuna/o abbia il suo percorso. Trovo ricorrere alla teoria del controllo culturale un discorso che sa di complottismo, di retropensiero persecutorio e scaricabarile. |
Non sopporto insistere con la fecondazione assistita.
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Pensa che sia necessario seguire la legge della natura... in questo caso.
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Conosco donne
che hanno procreato con la fecondazione assistita, o tentato di farlo, e in
questo senso e senza arrivare all'assurdo dell'accanimento scientifico, non comprendo dove sia il problema se non tirando in ballo proclami generalisti.
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E' colpa della religione!
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Non ama che le istituzioni religiose si occupino di aspetti etico morali (soprattutto se questi hanno ricadute sulla vita di chi non si riconosce in queste religioni).
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Principio sacrosanto della cultura e civiltà occidentale. Parimenti, non vedo problemi se, come per qualsiasi scuola di pensiero/filosofia, le istituzioni religiose e i teologi si esprimono, ma ciò dovrebbe riguardare la propria comunità e tenere conto che nel mondo ce ne sono altre, anche molto diverse.
Detto ciò, fortunametamente, è possibile segnalare l'esistenza di persone religiose e/o "spirituali"
(scusate la semplificaizone da bancarella) che vivono in modo critico e non banale questa dimensione.
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Preferisco i cani e i gatti.
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Ama molto i cani e i gatti (e come dargli/le torto!).
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Come per affido e adozione, uno non sostituisce
l’altro. Rapporti intensi e completi, ma con prospettive molto diverse.
I cani e i gatti sono sicuramente più comodi di un bambino, sono compatibili con l'individualismo sfrenato, non ti
mandano affanculo per niente, è facile ottenere attenzione e soddisfazione, non ti mettono
in discussione continuamente...I figli crescono continuamente e diventano “adulti” umani come noi, e il tutto diventa molto diverso dal vivere con un pet.
Unire le cose è una delle esperienze più belle e liberatorie che possano
capitare nella vita. Come il cibo e la figa.
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Le donne incinta sono orribili! |
Pensa che le donne incinte siano brutte |
De gustibus.
Personalmente trovo spaventoso che alcune donne incinte tengano più alla linea che al benessere di chi portano in grembo, ma per fortuna spesso trattasi di un "male" passeggere.
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Ho paura di non essere all’altezza.
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Si rende conto di non avere conoscenze adeguate e di sentirsi emotivamente impreparato.
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E’
naturale pensarlo, oggigiorno. Un tempo c’era la
famiglia allargata. Il quotidiano della gestante e della puerpera era fatto
di condivisione con diverse figure (madri, zie, sorelle, nonne, vicine di
casa). Di solito l’esperienza dell’attesa e della crescita di un figlio era
conosciuta perché già vissuta da vicino grazie a sorelle o chi per esse. Oggi
ci sono i monolocali, i corsi, i consultori, gli ospedali, (non)luoghi fisico/emotivi che rischiano (ma per fortuna non sempre) di essere
asettici, senza storia, “anaffettivi”. E c’è un confronto con una generazione, quella che
ha avuto figli negli anni 70-80, che ci ha cresciuti con poca attenzione su alcuni aspetti importanti, come l’allattamento al seno, i ritmi naturali dei pasti, per non parlare del
triste concetto del “non viziare i bambini” da un lato e di non “opprimerli”
dall’altro.
In questa direzione l'alternativa è uno stimolo a mettersi in gioco, a confrontarsi, a scoprirsi capaci di nuove energie, percorsi, idee. A rinsaldare alcune nostre competenze (anche emotive) e a gettarne alle ortiche altre. |
Io papà???
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Non crede sia concepibile, possibile o auspicabile essere un padre.
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Per
la paternità vale lo stesso discorso. Con chi condividere? In quali spazi
tirare fuori le emozioni, le gioie, le paure? Al bar?
I
ruoli un tempo “spalmati” su diverse figure (madri, nonne, zii, fratelli,
vicine ecc) oggi si concentrano nella figura del padre. Un grosso carico:
compagno, padre, amico, fratello, consigliere, esperto…
Maschile
e femminile sono mischiati. Gli uomini oggi fanno fatica a scoprire il proprio
lato mascolino e integrarlo con il ruolo paterno. Il lato femminile, invece, rischia
di confondersi con quello infantile o con quello della madre ansiosa e iperavvolgente.
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L’infanzia è un business! E io non ce l’ho, il business! Per
non parlare poi dei giochi sterotipati! Che schifezza, che obbrobrio!
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Quante cagate che vendono! E dove li trovo io i soldi?!?
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Negli articoli per la prima infanzia vi è una concentrazione di prodotti inutili stomachevole. Il marketing punta sull'ansia e la paura dei genitori impreparati e soli.
Ma "ogni bambino ha il suo pacchettino", come recitano molti proverbi tradizionali; è tutto più semplice e naturale di quanto uno possa credere-
Vero che vi siano stereotipi di genere sui giochi. Ma,
in generale, parecchio meno che anni fa, Anche qui, accettare la sfida e giocare insieme ai bambini aiuta a crescere insieme.
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Ho paura che il mio/la mia partner non si all’altezza.
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Non ha fiducia nel partner e/o proietta su di esso/a le sue paure.
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Imparare ad avere fiducia. O, se del caso, cambiare partner.
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Non mi piacciono i bambini.
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Non gli piacciono i bambini.
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Mah, effettivamente aspetterei un po’ prima di procreare.
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Non mi piacciono i bambini viziati.
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I bambini viziati sono antipatici e rompono le palle, su questo non-ci-piove!
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Se non ci fossero le frustrazioni bisognerebbe inventarle.
Ricordarsi che ciò che non ammazza rafforza e che il nostro principino sarebbe
bello e utile vivesse bene con gli altri (e non sugli
altri).
E’ vero anche che molti genitori confondono libertà con permissivismo, viziandoli
senza responsabilizzarli. Anche in questo caso paghiamo il conto al "tutto posso" e al "se mi piace lo faccio" imperante nella
cultura occidentale dal dopoguerra in poi.
Alternativa? Accettare la sfida pedagogica, crescere bene se stessi, i
figli, e anche la comunità.
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Ehhh, poi non potrei raggiungere i miei obbiettivi.
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Narcisismo spietato.
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Disequilbrio. Spostare il baricentro. Un figlio mette in discussione radicalmente e senza possibilità di controllo o revisione della propria scelta; è questo che spaventa maggiormente le persone che potrebbero diventare genitori?
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...Però ho paura per quando sarò vecchio e solo.
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Ha paura della solitudine.
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Lo so che non hai chiesto tu di nascere, e nessuno ha obbligato i
tuoi a concepirti, nutrirti, ecc ecc. Però pensa che se non ci fossero stati
avi e genitori, col cazzo che eri qui a leggere il mio blog e a dire che non ho capito una benamata del discorso figli e genitori, col cazzo che
potevi sentire l’odore del bosco dopo la pioggia, osservare Venere al tramonto, sorseggiare una
birra, sentire l’acqua scorrere sul corpo, stupirsi di un seme che sboccia o delle fusa di un gatto, ballare, abbracciare chi ami, adorare una risata di bambino, le lasagne, la pizza, le gonne corte.
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Ad esempio Erika
T dice che "Il punto è la
continua spinta culturale all'eterosessualità procreativa, deve essere ben
chiaro a tutti che non è obbligatorio né essere etero né procreare." E
aggiunge: "Detto questo, io non ho l' utero ma avrei voluto tanto avere dei
figli ma da donna."
Sara: "Io non ho figli, non so come sarebbe stata la mia vita se li avessi avuti, ma credo che sia comunque una grande gioia. Altro è il discorso di una società che inneggia alla maternità, salvo poi lasciare sulla donna l'onere maggiore e quindi per talune anche il sacrificio delle proprie aspettative, delle proprie ambizioni. Non mi piace la santificazione della rinuncia! Una donna incinta mi emoziona tantissimo, forse proprio perché io non ho provato quest'esperienza che sarà naturale quanto vuoi, ma a me sembra sempre un miracolo bellissimo. E' la Vita che continua oltre noi."
Insomma, come dicevo su, sono per accettare la sfida pedagogica, crescere bene se stessi, i figli, e anche la comunità. Fin dove possibile, e con passione.